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Lo stoccafisso all’anconetana

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Ancona, a metà dell’Adriatico è sempre stato un porto sicuro dove i popoli del Mediterraneo si sono incontrati avviando commerci redditizi.

Proprio questa sua naturale apertura ai traffici l’ha resa la città meno marchigiana delle Marche ed oggi risulta un posto accogliente seppur dalla scorza un po’ dura come il carattere dei suoi abitanti che, secondo una nota poesia in vernacolo sarebbe del tutto simile alla crocetta (chiamata in italiano garagolo), mollusco amatissimo dagli anconetani.

Io guardo ‘sta cruceta sbruzulosa
cun ‘st’anima gentile; cià qualcosa
del caratere nostro anconità;

rozo de fòra, duro, un po’ vilà

ma drento bono, un zuchero, ‘n’amore…
ché nun conta la scorza, conta el còre.

da Cume se magna le crucete in porcheta di Eugenio Maceo Gioacchini detto Ceriago

Qual è il piatto identitario di questa città cosmopolita?

Indubbiamente lo stoccafisso all’anconetana, bandiera del capoluogo dorico subito dopo il Duomo di San Ciriaco e l’Arco di Traiano.

La storia dello stoccafisso all’anconetana

Il pesce essiccato o salato del nord Europa, iniziò a diffondersi nel bacino del Mediterraneo tra il XV e il XVI secolo grazie proprio alle attività mercantili.

Il Concilio di Trento (1545-1563) introdusse il precetto dell’astinenza dalle carni nei giorni comandati e questo permise l’immediata diffusione anche nella penisola del pescestocco proveniente dai mari del nord.

Merce pregiata ma facilmente trasportabile, ad Ancona l’introduzione dello stoccafisso si deve ad un danaroso commerciante fiammingo, tale Baldassare Vandergoes (Baltasar van der Goes).

Era ricchissimo e nel XVII secolo si era trasferito nella città portuale per seguire meglio le sue attività impiantando il suo quartier generale al Passetto dopo aver acquistato l’intera collina.

Dalle cucine delle case altolocate, il piatto si diffuse velocemente alle osterie cittadine e alle cantine acquisendo spezie e sapori più decisi volti a stimolare un maggior consumo di vino, diventando ben presto una sorta di rito collettivo.

Ancora oggi, lo Stoccafisso all’Anconitana, dopo aver acquisito notorietà a livello nazionale, riunisce famiglie e comitive.

…el stucafisso el fàgo al venardì.

E venardì n’ho fato ‘na mastela,

un buzigo, un quintale!

Se sentiva l’udore a Palombela….

Stralcio di una poesia di Saturno Schiavoni

Da molti lustri, la meritoria Accademia dello Stoccafisso all’Anconitana tutela e salvaguarda l’onore di questa pietanza unica diffondendo in tutto il mondo i suoi segreti.

La ricetta dello stocco all’anconitana

Lo stoccafisso viene pulito, spinato, tagliato a pezzi e adagiato su una teglia alta.

Prima è condito con un abbondante trito di carota, sedano, capperi, cipolla, acciughe e rosmarino, poi gli viene versato sopra almeno mezzo litro di olio extra vergine di oliva con l’aggiunta di sale quanto basta.

Ricoperto di patate tagliate grossolanamente a spicchi, arricchite da altro trito al quale viene aggiunto facoltativamente peperoncino tagliato sottile e sale, ma anche pomodori maturi a pezzi e olive nere.

Prima di essere messo in forno alla temperatura di 130/140 gradi, il preparato viene innaffiato con una miscela di Verdicchio e acqua fredda fino al bordo della teglia.

Il tutto cuoce per almeno due ore e mezza fino a quando, tolto dal forno, viene lasciato intiepidire lentamente.

Dove mangiare lo Stoccafisso all’Anconetana in città

  • Ristorante Trattoria La Moretta dal 1897, piazza del Plebiscito 52
  • Ristorante Gino, Piazza Rosselli 26
  • Osteria La Bottega di Pinocchio, via Pinocchio 48
  • Trattoria Carotti, via Ascoli Piceno 70

Sappiate che lo Stoccafisso all’Anconitana ha una sola controindicazione: provoca dipendenza e una volta assaggiato, non ne potrete più fare a meno!

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